Storia del doping

                Origini del termine e storia delle definizioni

Il significato e le origini del termine "doping" sono poco chiare. Si crede che il sostantivo primordiale "doop", divenuto verbo (to dope), derivi da un antico dialetto africano che significa "miscuglio". Agli inizi dell'Ottocento "to dope" in Nord America indicava la pratica del "drogare" i cavalli da corsa, con preparati a base di tabacco e narcotici, con lo scopo di compromettere le prestazioni atletiche degli animali degli avversari. Consiste nel ricorso a mezzi illegali o all'assunzione di sostanze chimiche proibite dalle autorità sportive, sia a livello nazionale sia internazionale, in quanto accrescono artificiosamente la prestazione e l'efficienza agonistica, combattendo la fatica e aumentando le capacità basali dello sportivo. Il doping, quindi, è il principale responsabile della perdita dello spirito agonistico, il quale dovrebbe rispettare quei valori che spingono un atleta a confrontarsi con se stesso e con gli altri. La vittoria diventa uno strumento che sfida il tempo, produce gloria e celebrità.

Intorno all'inizio degli anni '60 si cercò di legalizzare la pratica del doping in Italia. La Federazione medico-sportiva italiana, nel 1962, propose per prima una definizione di doping come "assunzione di sostanze dirette ad aumentare artificiosamente le prestazioni in gara del concorrente pregiudicandone la moralità, l'integrità psichica e fisica"; una definizione che pone in risalto l'aspetto etico e la lealtà dell'atleta e i suoi principi morali. Il Consiglio di Europa nel 1966 suggerì una definizione differente "si risalta l'assoluta inutilità dell'assunzione di farmaci e sostanze da parte di individui non affetti da alcuna patologia". Questo significò che qualunque assunzione di farmaci da parte di atleti sarebbe stata configurata come doping. 

In Italia il 14 dicembre 2000 è stata varata la legge 376, che propone una definizione di doping molto attuale: "Costituiscono doping la somministrazione o l'assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti".

Il doping nell'era moderna

La prima morte documentata di un atleta a causa dell'uso sconsiderato di sostanze dopanti risale al 1896 quando il ciclista Arthur Linton, durante la corsa Bordeaux-Parigi, fu colpito da una crisi cardiaca in seguito ad overdose di stimolanti. Nei primi decenni del 1900 fu molto in uso, soprattutto tra i ciclisti, la pratica di preparare e consumare - anche nel corso della gara stessa - le cosiddette "bombe": veri e propri miscugli composti da associazioni di stimolanti naturali o artificiali diluiti nella borraccia con vino o acqua. La tragica svolta Nel 1967 la morte dell'atleta Tommy Simpson, avvenuta al traguardo della tappa del Mont Ventoux del Tour de France, scosse l'opinione pubblica. Il ciclista aveva assunto una dose consistente di amfetamine e morì a causa di un collasso cardiocircolatorio poco dopo aver completato la sua prova. Il Comitato internazionale olimpico (fondato nel 1894 dal Barone Pierre de Coubertin) istituí controlli antidoping, preoccupandosi di stilare un elenco di sostanze vietate agli atleti a qualsiasi livello e disciplina. Dalla morte di Simpson a oggi la storia del doping ha conosciuto molti altri momenti bui. 

Scorrendo gli annuali degli avvenimenti sportivi si evince quanto, nel corso dei decenni, il doping sia stato il protagonista occulto di tante gare. Infatti gli Stati che partecipavano ad avvenimenti sportivi, soprattutto nel corso della Guerra Fredda, consideravano la competizione sportiva anche un momento in cui dimostrare la propria superiorità atletica. L'uso di sostanze dopanti potevano essere per alcuni atleti il modo in cui raggiungere la vittoria e quindi far sventolare sul pennone più alto la bandiera del Paese di appartenenza. Come detto in precedenza anche sul terreno dello sport si giocava la "Guerra Fredda". 

Le sostanze dopanti sono diventate sempre più sofisticate e non sempre individuabile anche con esami mirati a cui gli atleti venivano sottoposti. La diffusione del doping raggiunge uno sviluppo preoccupante poiché va a ledere la deontologia sportiva che è alla base delle attività sportive e mette a rischio la salute dell'atleta che ne fa uso. L'avvenimento che fa prendere consapevolezza della necessità di cercare di arginare il fenomeno è quello che avvenne al Tour de France del 1998. Tutti i partecipanti risultarono positivi al controllo antidoping in seguito alle analisi effettuate.  Conseguentemente a questi risultati il Comitato Olimpico Internazionale e i diversi governi decisero di creare un' Agenzia mondiale antidoping ( AMA) indipendente. Questa venne costituita in un incontro che si svolse a Losanna il 10 novembre 1999.  E' in questo primo momento che inizia un percorso verso una politica sportiva volta  all'obiettivo di promuovere e sensibilizzare a livello mondiale e in tutti i settori la lotta al doping. 

Altro momento significativo nella lotta al doping si ha nella conferenza mondiale svoltasi il 3 marzo 2003 a Copenhagen in cui viene approvato il Programma mondiale antidoping (PMA), successivamente rivisto nel 2009. Il 15 novembre 2013 a Johannesburg, in Sudafrica, viene ratificato il nuovo PMA 2015, entrato in vigore il 1 gennaio 2015. 

Il PMA è costituito da tre livelli:

  1. il codice Mondiale antidoping che non definisce il doping ma considera come doping il verificarsi di determinate violazioni in esso contenute; 
  2. i sei Standard Internazionali che contengono la Lista del doping, le esenzioni a fine terapeutici, i controlli antidoping, la indagini, i laboratori e la tutela della privacy con i dati sensibili, definendo in questo modo la disposizioni del Codice;
  3. le Raccomandazioni e le Linee guida.






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